Parte il campionato 2005/2006. Il Lugano vince con regolarità. E spesso convince pure il suo pubblico esigente, nonostante i mugugni iniziali per la cessione di Maneluk. A Glen Metropolit, canadese tutto estro e concretezza proveniente dallo Jokerit Helsinki, che sarà capocannoniere della regular season, bastano poche settimane per far capire che, con il suo arrivo, la squadra ha compiuto un salto di qualità. Jason York, oltre 700 partite in carriera nella NHL, puntella la difesa. Si veleggia a lungo in testa alla classifica.

Qualche volta però la squadra assume un atteggiamento minimalista, tende a sedersi sul talento, a pavoneggiarsi, a guardarsi allo specchio. Prima di Natale, il club annuncia che Larry Huras non sarà il tecnico del futuro. Una notizia francamente non inattesa ma che alimenta polemiche perché parecchi uomini chiave accusano nelle settimane seguenti una flessione di rendimento. Un paio di vittorie pesanti ad Ambrì e a Davos danno comunque l’illusione che volere è potere. Ma quando cominciano i giochi che contano, dopo le intense emozioni olimpiche di Torino 2006 cui sette bianconeri hanno contribuito con anima e corpo all’argento della Finlandia di Nummelin, Peltonen e Hentunen e agli exploit dei rossocrociati contro Canada e Cechia, affiorano fragilità di nervi e scarsa incisività. Un Ambrì che sfrutta appieno le sue risorse spinge la squadra sull’orlo del baratro di un insopportabile smacco. I vertici societari reagiscono con l’esonero notturno del tecnico. La tifoseria è imbufalita e qualcuno sconfina ignobilmente nell’aggressione verbale, altri, per fortuna di fede incrollabile, inondano i giocatori di messaggi d’incitamento: nulla è impossibile!

I nuovi condottieri Harold Kreis (un’icona dell’hockey tedesco, head-coach in stagione al partnerteam Coira) e Ivano Zanatta ridistribuiscono le responsabilità, chiedono cervello, cuore e coglioni. E con l’arma dei poveri, l’umiltà, il gruppo, ormai senza più alibi, si compatta. Il gol rocambolesco di Vauclair alla Valascia è un segno del destino. Lo spogliatoio diventa granitico. Impermeabile ad ogni tentativo di destabilizzazione. Ogni giocatore è consapevole che solo immolandosi alla causa, il miracolo potrà avvenire. E l’impresa di recuperare dallo 0-3 nella serie, mai riuscita sino a quel momento a nessuno in Europa e solo due volte nella storia della NHL, si concretizza il 19 marzo 2006. L’angoscia di perdere con i cugini svanisce, adesso arriva il bello.

Sullo slancio il Lugano asfalta letteralmente quel Kloten, giustiziere del capolista Berna, mordace ma acerbo e getta il guanto di sfida al campione in carica, il Davos. Non c’è partita. Il Lugano sfiora la perfezione agonistica ed estetica, viaggia come un treno in accelerazione che travolge tutto e tutti. Ogni giocatore sublima le sue peculiarità. Gli eroi non sono i singoli, il folletto Nummelin, il bombardiere Hentunen, il terminator Gardner, il gladiatore Sannitz, il satanasso Metropolit, il capitano Peltonen. A trionfare è la squadra, la sua unità d’intenti cementata nelle difficoltà.

E, quando alla Resega, il 13 aprile 2006, squilla la sirena finale che decreta il successo in “gara 5”, il popolo bianconero sale al settimo cielo. È la gioia più autentica, viscerale, quella che per provare bisogna aver tanto sofferto prima, il piacer figlio d’affanno, come scrive il Leopardi. Ma è anche l’orgoglio per una squadra che ha insegnato al Ticino e alla Svizzera cosa significhi davvero onorare la maglia dell’Hockey Club Lugano.

Dopo essere stati proiettati al settimo cielo, la società e i tifosi bianconeri vivono mesi molto difficili. La National Hockey League bussa alla porta di Metropolit e, in poche ore a metà giugno, anche di Nummelin, Peltonen e York. Un colpo durissimo sul piano sportivo. Mai un club svizzero aveva visto partire in un batter d’occhio quattro suoi giocatori per il palcoscenico più prestigioso. Come se non bastasse, l’inchiesta della Magistratura sui presunti pagamenti in nero scuote la dirigenza dell’HCL nelle sue fondamenta. Uno “tsunami” anche mediatico che sfocerà nel rimpasto dell’assemblea generale del 29 novembre 2006 con le dimissioni di Beat Kaufmann e Fabio Gaggini dai rispettivi incarichi, l’elezione di Fausto Gianini a presidente dell’associazione e soprattutto quella di un nuovo Consiglio d’Amministrazione della società anonima, presieduto e trascinato dal nuovo uomo forte del club, Paolo Rossi.

Sul piano tecnico l’head-coach Ivano Zanatta e l’assistant coach Glen Williamson si ritrovano tra le mani ad agosto una squadra da plasmare e rifondare nelle sue gerarchie interne e nella suddivisione delle responsabilità. Tra i pali, dopo la partenza di Ronnie Rüeger per Kloten, viene data piena fiducia al giovane Simon Züger. In difesa vengono ingaggiati lo svedese Dick Tärnström, MVP dei Mondiali 2004 e fresco finalista della Stanley Cup e Jason Strudwick, solido lavoratore con una lunga esperienza in NHL. In attacco, i nuovi stranieri sono l’incostante scorer statunitense Landon Wilson e un altro svedese, il playmaker Rickard Wallin.

Impermeabile alle turbolenze esterne, il gruppo cresce sull’arco della regular season. È una squadra che ama definirsi operaia e che il popolo bianconero ama per questo. Sessanta minuti d’impegno costante, cambio dopo cambio, secondo i dettami di Ivano. Nonostante i pesanti infortuni di Hirschi e Conne, capitan Jeannin e compagni disputano una stagione regolare addirittura superiore alle aspettative, lottando persino per il primo posto fino a tre giornate dalla fine e chiudendo al quarto rango.

Nel frattempo a gennaio 2007, la famiglia bianconera vive un’altra indimenticabile esperienza internazionale. Oltre duecento tifosi seguono l’HCL a San Pietroburgo nel Super Six con i campioni nazionali delle sei più forti nazioni europee. Il Lugano sale con pieno merito sul podio superando per 3-0 il Färjestad prima di inchinarsi con lo stesso punteggio all’Ak Bars Kazan, compagine russa dal potenziale finanziario degno della National Hockey League. Cinque giorni indimenticabili per chi li ha vissuti che rafforzano il calore e l’affetto verso i giocatori e verso il club, teso dal canto suo a dare di sé un’immagine più dinamica e istintiva come testimoniato dall’entrata gratuita offerta a tutti in occasione di una gara con il Basilea seguita da 6283 persone.

Si arriva così ai playoff dove l’avversario nei quarti è il Kloten di Eldebrink e Hollenstein in panchina e di Rintanen in pista. Il Lugano offre su un piatto d’argento all’avversario il vantaggio della prima partita in casa, perdendo “gara 1” con un inopinato crollo alla distanza. Espugnare la Schluefweg diventa così d’obbligo. L’impresa viene sfiorata nella prima rivincita, ma gli aviatori s’impongono dopo pochi secondi di overtime. Un roboante 8-1 rilancia le ambizioni bianconere, ma gli aviatori, grazie soprattutto al loro powerplay implacabile, allungano di nuovo. Dopo il nuovo successo ticinese alla Resega, è “gara 6” a decretare l’eliminazione. E il colpo di grazia giunge, purtroppo, con un clamoroso errore arbitrale di Prugger che fischia, con il puck ancora in movimento, proprio mentre Jeannin lo sta infilando in rete a 32 secondi dalla sirena finale per quello che sarebbe stato il gol del 2-2. Un epilogo che lascia l’amaro in bocca per una stagione comunque costruttiva in ottica futura. Da sottolineare anche il bis del Ladies Team, nuovamente campione nazionale e la promozione in prima lega del Ceresio-Lugano, compagine formata soprattutto da elementi degli Juniores Elite HCL e da ex giocatori del vivaio bianconero.

L’approccio alla stagione 2007/2008 è positivo e gli addetti ai lavori indicano il Lugano come una tra le squadre da battere. Le partenze in difesa di Tärnström e Strudwick, entrambi tornati in NHL, sembrano compensate sulla carta dall’arrivo dell’esperto difensore canadese Yannick Tremblay e dal ritorno in Svizzera, dopo alcuni anni in Nordamerica, dell’aitante Timo Helbling. In attacco, con Ryan Gardner ammaliato dalle sirene finanziarie degli ZSC Lions, il reparto perde uno dei suoi leader e cecchini, sostituito nelle aspettative dal nazionale Thierry Paterlini e dagli atletici Kostovic e Knoepfli. Per occupare il ruolo di primo centro al posto di Rickard Wallin, ritenuto dallo staff tecnico privo della necessaria personalità, viene ingaggiato il piccolo playmaker canadese Marty Murray, già vincitore della Calder Cup in AHL. Il campionato inizia discretamente, anche se s’intuisce che la squadra appare poco creativa in fase offensiva. Il 18 ottobre 2007 Jukka Hentunen, top scorer dei bianconeri, lascia il Lugano confrontato con l’imperdibile opportunità di un contratto superlucrativo in Russia con la maglia dell’Ak Bars Kazan. L’addio improvviso del finlandese si rivela più pesante di quanto ci si potesse aspettare. La forza d’urto dell’attacco cala paurosamente, Tremblay e soprattutto Murray non riescono a trascinare i compagni al pari dell’acciaccato Wilson e degli svizzeri più blasonati, l’insicurezza serpeggia anche in retrovia, non da ultimo per il prolungarsi dell’assenza del convalescente Hirschi e per l’incostanza di rendimento del portiere Züger. A metà novembre, dirigenza e tifoseria s’illudono di aver trovato la soluzione. L’ex stella NHL (674 partite, 421 punti), il colored Anson Carter, noto anche per aver realizzato il gol fantasma che regalò al Canada i Mondiali 2003, atterra ad Agno ed esordisce con il botto, siglando tre reti in tre partite e destando immediata simpatia per il suo atteggiamento verso l’hockey e la vita. Tra infortuni ripetuti, ritardo di condizione fisica e qualche dubbio sulla sua reale motivazione, Carter sparirà tuttavia ben presto dal palcoscenico.

La società investe quanto ricavato dalla cessione di Hentunen riportando alla Resega con un accordo quadriennale David Aebischer, il primo svizzero ad aver sfondato in NHL (214 presenze), già vincitore della Stanley Cup, portiere di grande talento, relegato tuttavia nel frattempo ai margini della scena nordamericana. Simon Züger viene ceduto al Basilea. A cavallo tra novembre e dicembre il Lugano entra però in una crisi nera. 209 minuti senza reti, una fragilità psicologica e un’incapacità di reagire agli episodi negativi che il 5 dicembre 2007 costano la panchina a Ivano Zanatta. Per dare una scossa viene chiamato Kent Ruhnke, con la reputazione del sergente di ferro e del motivatore. La mossa non sortisce tuttavia gli effetti desiderati. Ruhnke non riesce a trovare il feeling con i giocatori, non riesce ad imporre il suo credo di hockey aggressivo, fatica ad essere accettato da capitan Jeannin e compagni. Dopo undici gare consecutive senza aver realizzato più di due reti, un’imbarazzante 0-5 casalingo contro i Langnau Tigers e con la linea dei playoff sempre più lontana, ecco allora, il 9 gennaio 2008, il clamoroso ritorno di John Slettvoll alla transenna. Per provare a salvare un’annata quasi compromessa irrimediabilmente, la società tocca le corde dell’emozione, si affida al carisma e alla psicologia di colui che, unanimemente all’interno e all’esterno dell’HCL, incarna la gloriosa storia dell’Hockey Club Lugano. Mancano tredici gare alla fine della regular season e il compito del 63enne tecnico di Umea è improbo: ricostruire il morale e restituire la voglia di giocare e di divertirsi ad un gruppo allo sbando, fortemente criticato dai tifosi e dai media.

Il Mago si getta anima e corpo nell’impresa. Per completare il contingente degli stranieri vengono integrati il navigato scorer svedese Jonas Höglund e il centro finlandese Toni Häppölä. Ma la rincorsa ai playoff, partita con una striscia di quattro successi, resta incompiuta e, per la prima volta dopo ventidue anni, il Lugano si trova a disputare i playout. Playout che, come prevedibile, si rivelano un’esperienza da incubo. L’ansia di dover vincere, la paura di perdere al cospetto di una squadra più debole come il Basilea, gli infortuni a catena, trasformano cinque partite in sofferenza pura per gli oltre duemila tifosi che sono rimasti fedeli alla squadra e al club. Alla fine il Lugano ce la fa, grazie anche ad una rete pesantissima del giovane Chiesa in terra renana e alla ritrovata vena realizzativa di Landon Wilson. I pensieri più cupi svaniscono e l’ultima serata si chiude persino in letizia con John Slettvoll acclamato dal pubblico della Resega come un eroe a firmare autografi e a stringere mani che trasudano gratitudine. Una stagione che resta comunque un vero bagno d’umiltà a tutti i livelli.

Per la stagione 2008/2009, almeno alla transenna, si punta allora sulla continuità, con John Slettvoll che rinnova il suo accordo con l’HCL per una stagione e convince la società ad affiancargli due giovani connazionali assistenti di sua fiducia: Jesper Jäger e Christian Lechtaler.

La campagna acquisti è importante. All’addio di Jeannin, che varca la Sarine alla corte di Pelletier, Wirz e Knoepfli, il club risponde con l’ingaggio del nazionale Romano Lemm, sfortunato per un serio incidente alla spalla che lo mette k.o per oltre metà stagione e soprattutto di Domenichelli, l’attaccante canadese per diversi anni leader dell’Ambrì, sposato ad una cittadina svizzera e pertanto in attesa di passaporto rossocrociato. Hnat parte con l’handicap del grave infortunio subìto a dicembre 2008 con la rottura del legamento crociato del ginocchio destro. Ad agosto è sul ghiaccio, conferma le sue doti di scorer con una ventina di reti, prima di essere bloccato da un nuovo problema allo stesso ginocchio. Certamente meno grave, ma sufficiente per fargli perdere il treno dei playoff. ?Il vero botto è però il ritorno di Petteri Nummelin alla Resega dopo due stagioni in NHL. Il folletto finlandese non ha perso nulla del suo talento: il suo genio, le sue reti e i suoi assist sono un valore sicuro e uno spettacolo per gli occhi.

In un campionato sempre più equilibrato verso l’alto il Lugano di Slettvoll ha un comportamento altalenante. A buone prestazioni si accavallano sconfitte che lasciano perplessi. Sul piano delle individualità, oltre a Nummelin e al cecchino di licenza svizzera Brady Murray (figlio di Andy Murray), spicca il 24enne norvegese Patrick Thoresen, proveniente da Philadelphia, un vero ariete, capace di combinare come pochi forza fisica e qualità: sarà lui il vero trascinatore.

Deludente invece Randy Robitaille. Il centro canadese, giunto a Lugano a fine agosto accompagnato da enormi aspettative (top scorer in Svizzera nella stagione del lockout, più di 10 stagioni in NHL), deve superare anche un problema cardiaco ma, salvo rare eccezioni, non riesce praticamente mai ad ingranare. Un capitolo a sé lo scrive John Pohl. Lo statunitense convince nella fase di preparazione, inizia il campionato con buon rendimento, viene lasciato in tribuna dallo staff tecnico con argomenti forse anche poco convincenti ma, purtroppo, reagisce nel peggiore dei modi, assumendo un’attitudine negli allenamenti davvero inaccettabile. Sarà liberato a fine gennaio per far spazio al giovane difensore offensivo svedese Johan Fransson. Il tormentone dei cinque stranieri diventa comunque la rovina dello spogliatoio e dell’ambiente. John Slettvoll non riesce a gestirlo nel modo più opportuno, i malumori si assommano e i media ci sguazzano. Sono i primi segnali di debolezza dell’uomo di Umea che, attorno a Natale, non digerisce la comunicazione della società di non voler proseguire in futuro con lui alla guida tecnica. L’ego smisurato di Slettvoll prevale sul bene della squadra e del club e il 7 gennaio 2009 alla vigilia di un derby il Mago abbandona tutto e tutti, accusando l’HCL e tutte le sue componenti di lesa maestà.

Con la squadra che galleggia nel ventre molle di metà classifica, dopo l’interim per il derby vinto di Ruben Fontana, a dirigere capitan Näser e compagni viene chiamato dalla Finlandia Hannu Virta, già coach del TPS Turku. Al suo fianco viene promosso Sandro Bertaggia, ormai maturo dopo alcuni anni di formazione nella Sezione Giovanile. L’avvicinamento ai playoff, la cui partecipazione è ormai sicura, è quantomeno curioso. I bianconeri non riescono più a vincere entro il sessantesimo e disputano una serie impressionante di overtime e tiri di rigore.

L’abbinamento nei quarti di finale è Davos-Lugano. Una serie spettacolare, con emozioni dispensate a gogò, partite dal ritmo folle e l’entusiasmo che torna ad animare il popolo bianconero. Con una rete del generosissimo Conne al supplementare, il Lugano resta in vita anche sull’orlo del baratro, vince gara 6 alla Resega ai penalty e si presenta alla Vaillant Arena per la bella. Un vero disastro (7-1) che segna l’immaginario collettivo dei tifosi e macchia anche quanto di buono costruito sull’arco dei mesi.

Nell’estate del 2009 cambia la presidenza del club. Dopo la comunicazione di Paolo Rossi di non volersi ricandidare per ragioni personali e professionali, la Commissione Cerca designata a questo scopo identifica in Silvio Laurenti la nuova guida societaria. Laurenti porta in dote un curriculum manageriale di tutto rispetto, come direttore generale di BIC Suisse e BIC Graphic Europe e come CEO di Caran d’Ache. Notevole anche l’esperienza accumulata quale dirigente sportivo alla testa del Viganello e dell’FV Lugano nei tempi d’oro del basket cantonale e in seguito alla vicepresidenza del FC Lugano.

La seconda grossa novità è quella di Kent Johansson in panchina come head coach affiancato da Sandro Bertaggia. Tra i tecnici più quotati nel suo Paese dove ha conquistato anche un titolo con l’HV 71, a Kenta viene affidato il compito di costruire un progetto a medio termine.In sede di mercato, si registra la partenza di Thoresen per il lucrativo campionato russo della KHL a Ufa. Al suo posto in attacco viene ingaggiato lo statunitense Jeff Hamilton che confermerà doti di scorer ma anche scarsa propensione al gioco per il collettivo. In difesa Johansson porta alla Resega un suo pupillo, Johan Akerman che, per la verità, saprà però dare pochi impulsi.

La stagione parte male. Una striscia di nove sconfitte consecutive tra metà settembre e metà ottobre fa precipitare il Lugano sotto la linea. La squadra tuttavia reagisce almeno sul piano dei risultati e, pur senza incantare dal profilo del gioco, trova un certo rendimento. I punti in classifica per la risalita arrivano in particolar modo con la creatività del primo terzetto d’attacco composto da Domenichelli, Hamilton e da un ritrovato Randy Robitaille, ma anche grazie all’innesto a stagione inoltrata del canadese Boyd Devereaux, elemento poco appariscente ma di grande utilità. La sua stagione si chiuderà malauguratamente alla Coppa Spengler con la maglia del Team Canada, quando una carica proditoria di Forster gli procurerà un grave problema ad una vertebra cervicale. Quanto a Robitaille, il talentuoso canadese sarà il Top Scorer della Lega in regular season, ma bucherà clamorosamente nel momento topico dei playoff.

Il vero tallone d’Achille resta comunque per tutta la stagione il gioco difensivo. L’incostanza di Aebischer tra i pali ma soprattutto l’insufficiente copertura del portiere da parte dei compagni rendono la retroguardia bianconera tra le più permeabili del campionato.

metà novembre la società bianconera vive una svolta nel settore tecnico. Per il ruolo di direttore sportivo viene infatti assunto Roland Habisreutinger, uomo di personalità e carattere reduce, nella medesima funzione, dalla finale dei playoff persa alla settima partita con i Kloten Flyers. Per Jörg Eberle prende avvio una nuova sfida all’interno dell’organizzazione: quella di responsabile della formazione. Il mese di dicembre permette alla squadra di ritrovare la zona playoff. I diversi punti deboli, che si evidenziano ad ogni gara, sono però ben lungi dall’essere risolti e così tra il 10 gennaio e il 23 gennaio Näser e compagni entrano in un nuovo buco nero perdendo malamente cinque gare di fila. La società si rende conto definitivamente che Kent Johansson, di cui non è in discussione la competenza, non è l’uomo giusto nell’ambiente particolare dell’hockey svizzero. Il suo carattere schivo e introverso ne rendono difficile il dialogo con i giocatori e con il club e l’effetto è quello di un gruppo spaesato allo sbando. Per dare la classica scossa emotiva e non rischiare i playout, si sceglie allora di cambiare la guida in panchina, affidandosi all’indimenticato gladiatore Philippe Bozon, alla prima esperienza con i professionisti. Il nuovo staff tecnico, con Bertaggia confermato nel ruolo di assistant-coach, conquista i punti necessari per accedere ai playoff.?

Nei playoff il Berna, che conquisterà poi il titolo dopo una dura lotta in finale con il Ginevra, ha gioco facile. I giocatori più attesi del Lugano spariscono letteralmente dalla scena e gli uomini di Larry Huras vincono la serie in sole quattro partite. Il peggior risultato dell’HCL nella storia dei playoff.